lunedì 1 giugno 2015

THE GUDU'S BHUTANESE EXPERIENCE PART 4 - PHOBJIKHA VALLEY

La mattina successiva ci siamo svegliati e siamo usciti sul balcone ad ammirare il sole appena nato che riscaldava la natura tutto intorno.
Penso davvero che ci siano luoghi che hanno un'energia speciale e ci permettono di tornare quasi ad uno stato di veglia... oddio, non veglia al 100%, ma ci portano sicuramente a recepire "cose" che altrimenti non siamo in grado di recepire.
La Natura non stuprata dall'uomo, ma anzi rispettata e venerata è presente ovunque in Bhutan, questo lo rende un luogo speciale, carico di energia.

Dopo una abbondantissima colazione, la guida è venuta a prenderci e, dopo un breve percorso in auto, ci siamo avviati a piedi verso un piccolo tempio dedicato alla fertilità ed ai bambini.
Durante il percorso abbiamo incontrato più persone di quello che mi aspettassi; erano tutti Bhutanesi che si recavano al tempio a pregare per ottenere benedizioni o ringraziare per le benedizioni concesse.
In particolare ci siamo fermati a parlare con una famiglia di 5 elementi (moglie, marito e tre figli) che avevano un aspetto ed un'andamento un po' diverso dagli altri.
Grazie alla servizio di interprete della guida, abbiamo scoperto che erano "Uomini delle montagne".
Se ho capito bene, gli "Uomini delle montagne" sono le persone che vivono nelle zone più alte, sulle montagne. Ed in Bhutan significa vivere fra i 4000 ed i 6000 metri.
Persone che vivono in minuscole fattorie al limite col cielo dove le condizioni sono davvero estreme.
La loro pelle era spaccata dal sole e dal vento ed i loro occhi erano due piccole fessure; anche il modo di parlare era diverso, aveva una cadenza più dura e più lenta.
I loro vestiti erano leggermente diversi, non saprei descrivere il perchè... forse usavano diversi tessuti o forse ero solo rimasto suggestionato dal loro viaggio.
La famiglia era venuta tempo addietro a pregare per la guarigione del figlio malato, ora il figlio era guarito e loro tornavano a ringraziare.
Il viaggio durava circa 5 giorni da casa loro al tempio ed ovviamente si muovevano a piedi.
Mi sono chiesto è come accidenti fossero riusciti ad arrivare fino a li con 3 bambini se portavano appena due piccoli zaini.
L'unica spiegazione poteva essere l'ospitalità del popolo Bhutanese.
Questa famiglia doveva essersi fermata nei templi o nelle fattorie incontrate lungo il tragitto dove era stata accolta e rifocillata.
Questa cosa può sembrare un po' "fantasy" a noi occidentali, ma durante il viaggio avevamo già avuto modo di sperimentare l'ospitalità bhutanese e più avanti l'avremmo assaporata ancora meglio.
Rimasi molto colpito da questi avventori ed avrei voluto parlargli per ore, ma avevo capito fin dalle prime parole che non erano troppo felici di fare "gli animali da zoo" per noi... erano venuti per pregare, avevano fatto tanta strada ed ora erano finalmente arrivati alla meta.
Fu così che continuammo l'escursione fino a raggiungere il tempietto in questione.

Ad accoglierci all'ingresso c'erano delle persone (non so dire se pellegrini o persone legate al tempio in qualche modo) che ci offrirono riso col burro e the.
Il tempio era piccolino e molto antico.
Era posizionato in cima ad un'altura ed era circondato da grossi alberi che non ho saputo identificare.
L'atmosfera era pacata ed incredibilmente desolata, ma non un desolato "negativo"... era un desolato meditativo dove la presenza delle persone era impercettibile.


Siamo entrati nel tempio dove abbiamo pregato e poi siamo tornati sui nostri passi passando attraverso ai campi di riso rosso in quel momento aridi e deserti.


Risaliti in auto ci aspettava un lungo tragitto su strette stradine di montagna per raggiungere la valle di Phobjikha.
Cominciammo subito ad inerpicarci per strade strette ed a strapiombo.
Per strada ogni tanto vedevamo gente ferma ad attendere il bus... facevo davvero fatica ad immaginarmi un bus su per quelle strade.
La natura si mostrava in tutta la sua forza. Enormi alberi ricoperti da muschi e rampicanti si aggrappavano ai terreni scoscesi della montagna sfidando il percorso sinuoso della strada ed invadendolo a tratti.
Man mano che salivamo di quota, gli alberi cominciarono poi sempre più spesso a lasciare spazio a vedute mozzafiato sull'Himalaya.
Dopo un paio d'ore di salita, cominciammo a vedere gruppi yak in mezzo alla strada e la vista sulle vette innevate bhutanesi si faceva sempre più spettacolare.




Intorno alle 13.00 ci fermammo in una piccola locanda, quasi in punta alla montagna.
La temperatura era calata notevolmente, ma il sole splendeva e la vista era spettacolare; così decidemmo di mangiare all'esterno su di un piccolo e basso tavolo in pietra preparato per l'occasione.
Faceva decisamente freddo, ma il piacere di mangiare di fronte a quello spettacolo della natura valse davvero la pena.
Ci concentrammo anche (alla faccia della privacy) su di una gruppetto di minuscole case sui balconi delle quali era stesa un sacco di carne a seccare.
Le case erano decorate in modo diverso ed anche le persone sembravano un po' diverse.
Pensavamo fossero i famosi "uomini delle montagne", ma la guida ci smentì.
Quelli erano esuli tibetani.
Molti dissidenti tibetani erano fuggiti in Bhutan ed avevano trovato posto in queste zone inospitali.
La loro era una vita da esuli che vivevano al limite della povertà in queste zone montagnose semi-deserte.
La guida ci spiegò però che gli uomini delle montagne vivevano in zone ancora più alte ed impervie.
Passammo buona parte del tempo ad osservare una casa in particolare.
Aveva un sacco di carne ad essiccare, la porta di ingresso era aperta ed ogni tanto usciva una signora con bidoni ed oggetti inidentificabili. Seduto sulla veranda un bambino giocava con qualcosa.
Era una scena di una forza difficile da descrivere... era poetica, era densa di significato... di quei significati che si recepiscono con sensi a cui non abbiamo ancora dato dei nomi.
Quella casa che da un lato dava su una stradicciola di montagna, dall'altra sullo strabiombo... nel mezzo di montagne altissime... col cielo come unico contorno ed il sole alleato col vento nel levigare le strutture in legno.


Persone indaffarate nella vita di tutti i giorni, una vita che noi non saremmo stati in grado di comprendere a fondo, nelle bellezze quanto nelle brutture.
Forse tutti gli occidentali (pochi) che passavano di li si fermavano a contemplare quella casa o forse solo noi ne eravamo rimasti catturati, questo non si sa.
Sicuro è che fra le "cose" più preziose raccolte di questo viaggio c'è di sicuro questo momento di osservazione.

Dopo pranzo raggiungemmo in fretta il passo e cominciammo a scendere verso la valle.
La temperatura scece ulteriormente e cominciammo a vedere la neve vicino alla strada.
La Phobjikha valley è a dir poco monumentale. Penso che il termine inglese "huge" la descriva appieno.
Eravamo giunti in quella valle per vedere le Gru dal collo nero, uccello in via di estinzione (qualche centinaio in tutto il mondo) che d'inverno svernava in quella zona.
La gru del collo nero è sacra ai Bhutanesi. La tradizione vuole che quando le gru arrivano e quando ripartono, facciano tre giri attorno al tempio della valle proprio come dei pellegrini.
La nostra prima tappa fu proprio al Gantey Gompa, il tempio sopra citato... tempio che la guida ci descrisse come "L'università del buddismo".
Il tempio era sulla cima di una piccola altura che gli permetteva un'ampia vista su tutta la valle.
Il tempio di per se non aveva nulla di particolare, ma la sua posizione e la sua unicità in quella valle pazzesca lo faceva risplendere di un'aurea surreale.
Faceva un freddo pazzesco e noi eravamo stanchi del viaggio, così la nostra visita durò lo stretto necessario per godersi quell'atmosfera pazzesca.




Arrivammo al "modesto resort" (così lo chiamava il programma di viaggio) in cui avremmo soggiornato durante la nostra permanenza nella valle.
Esternamente la costruzione toglieva il fiato tanto era bella nella struttura e nelle decorazioni.


Fummo accompagnati nella sala comune dove c'era una erorme stufa che scaldava (non abbastanza) l'ambiente.
Ci offrirono del the bollente e qualcosina da mangiare insieme a panni bollenti e profumati da metterci in faccia e sulle mani.
Quando ci fummo rifocillati fummo accompagnati nella stanza.
La stanza era molto carina, aveva degli spifferi pazzeschi ed era scaldata solamente da una piccola stufa.


La cosa della stufa ci rallegrò molto perchè rendeva l'atmosfere pittoresca, ma aveva dei grossi lati negativi:
1- Innanzitutto la stufa era troppo piccola per scaldare e mantenere la stanza calda, soprattutto visti gli immensi spifferi.
2- La posizione del bagno rendeva poi impossibile poter sfruttare la stufa per portare la temperatura all'interno ad un "livello doccia" fruibile.
3- Le dimensioni ridotte della stufa rendevano necessario una carica di legna ogni 45 minuti al massimo.

Prima di cena caricammo la stufa al massimo e poi andammo nella sala comune dove ci attendeva una modesta, ma confortevole cena.
Scoprimmo che con noi nel resort c'era un famiglia francese che si era portata dietro pure il cane e che soggiornava in Bhutan da parecchio tempo.
C'erano forse altre due o tre escursionisti e nessun altro. In effetti non era la migliore stagione per visitare la valle, se non per ammirare le gru dal collo nero.

Quando tornammo in camera il fuoco era quasi spento e la temperatura notevolmente scesa.
Riempimmo la stufa il più possibile e ci tuffammo sotto gli spessi strati delle coperte addormentandoci praticamente all'istante.
Il giorno dopo ci attendeva l'esplorazione della valle e le gru dal collo nero.

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